“Il principio attraverso il quale iniziare ad operare nel territorio dovrebbe puntare alla costruzione di una rete di relazioni e alla promozione di un processo aperto e simbiotico, che supporti la definizione di una comunità anche di fronte a problemi molto seri come quelli della crisi abitativa e della lotta per i diritti civili.”
tratto dall'articolo di Selenia Marinelli - UnLost Territories, Ricostruire la periferia a Roma, Architettura e società nei territori abbandonati.
Questa è l’affermazione che maggiormente mi ha colpito; potrei aggiungere che la disuguaglianza sociale e psicomotoria spesso è alla base della esclusione o “ghettizzazione” di determinate fasce di popolazione. La lotta deve partire da ciascuno di noi e l’architettura ha il compito di cucire tessuti, non solo antropizzati ma tessuti sociali invisibili. Solo tramite un’attenta programmazione sociale, l’ascolto della comunità locale e la lotta all’inclusività, è possibile realizzare nuove modalità flessibili di co-abitazione e rigenerazione, in grado di arginare l’esclusione delle persone fragili e porre al centro del vivere sociale, la persona, come un piccolo ma importante ingranaggio della società attiva.
L’articolo di Selenia Marinelli prosegue con l’esperienza di occupazione l’ex-stabilimento del salumificio Fiorucci, sito in Via Prenestina 913, che lasciato al degrado, avrebbe costituito una delle molteplici brown areas. L’occupazione non è stata un’operazione semplice ma sono serviti tanti studi preliminari e sopralluoghi per determinare quale aree fossero più salubri all’abitazione, oltre che ad opere di bonifica e “lottizzazione” per ricavare alloggi. Una volta messa in atto l’occupazione, il relitto urbano ha ripreso lentamente a prender vita finché non è diventato luogo di interesse per film maker che realizzando documentari quali “Space Metropoliz” lo hanno di fatto elevato ad opera d’arte/performance. La nuova comunità dei “metropoliziani” ha quindi proseguito l’impresa d’arte ponendo l’attenzione dall’interno verso l’esterno, creando ufficialmente una “città meticcia”. La comunità ha quindi intrapreso l’opera di conquistare gli occhi e la sensibilità del mondo circostante, coinvolgendo artisti contemporanei di diverse nazionalità a dare un contributo creativo in quella dimensione micro-urbana: nasce il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz. L’articolo prosegue descrivendo come il MAAM ha preso forma, sottoforma di ludoteca per i bambini per dar loro un luogo per giocare e imparare e studiare e il patrimonio artistico, stratificandosi, ha così ampliato il patrimonio culturale all’interno del complesso museale e abitativo: da quel momento MAAM e Metropoliz non descrivono più l’occupazione di un edificio, ma una rappresentazione di una trasformazione ben più profonda della preesistenza di un nuovo s/oggetto.
L’architettura deve essere propositiva, all’avanguardia e con uno sguardo al futuro sociale. Talvolta un’azione forte come l’occupazione e la riappropriazione del suolo e del diritto ad abitare può scaturire qualcosa di magico nei cuori della comunità cercando un’appartenenza negata o limitata; è il caso di dire che è bene lanciarsi in operazioni di “hackeraggio sociale e urbano”, sovvertire le solide basi sociali per ridecodificarle in qualcosa di nuovo e di inaspettato.
Questo intervento mi ha fatto pensare al SARGFABRIK di Vienna.
Sperimentazioni di co-housing sociale e integrazione degli stili di vita in una ex fabbrica di bare
Il progetto è basato innanzitutto sulla stretta collaborazione tra un’associazione no-profit composta di abitanti e costituita ad hoc e la Municipalità di Vienna: grazie alla sovvenzione pubblica, nel 1989, l’associazione è riuscita ad acquistare lo spazio e a ristrutturarlo e oggi gestisce la struttura alla stregua di un pensionato, assegnando gli alloggi ai suoi membri con contratti di affitto di 5 anni a canoni calmierati. Come nel caso del Metropoliz, è la comunità che ha deciso di riappropriarsi degli spazi ormai in disuso o ridotti a "cadaveri".
E' un'ex fabbrica di bare (sargfabrik) “Maschner & Söhne” di Vienna, costruita alla fine del 19° secolo,si trova in Goldschagstrasse nei pressi della stazione di Penzing.
La di smissione della fabbrica avviene negli anni ’70. Il progetto di riutilizzo dello spazio nasce, a metà degli anni ’80, dall’iniziativa di un gruppo di abitanti del quartiere che si organizza per trovare una soluzione abitativa fuori dalla logica del mercato immobiliare che potesse accogliere differenti stili di vita e culture.
Funzioni sociali e attività
Il progetto, attraverso una proposta culturale e sociale, propone un luogo d’incontro tra modi di abitare di persone con età e provenienza sociale differenti. Gli obiettivi fondamentali del progetto riguardano l’integrazione di diversi modi di abitare, dai singles alle famiglie tradizionali; la condivisione dei servizi, sia per contenere i costi di gestione sia per ottimizzare gli spazi da vivere. Tra le finalità del progetto c’è l’integrazione di persone diversamente abili e di altri gruppi socialmente esclusi e il risparmio energetico, ottenuto attraverso l’utilizzo di forme alternative di riscaldamento e di energia.
I moduli base delle unità abitative sono piccoli appartamenti su due livelli, addizionabili orizzontalmente attraverso delle pareti rimovibili combinate con strutture leggere per permettere spazi molto flessibili. Gli appartamenti contengono i servizi sanitari necessari, uno spazio cucina aperto sulla zona giorno e un balcone che affaccia sulle corti interne. Il progetto presenta un’offerta elevata di spazi e servizi comuni, incluso il bar-ristorante, la zona termale, l’asilo, le lavanderie comuni, una sala con cucina collettiva, una Guesthouse che non può essere abitata più di un mese consecutivo, un locale jazz e una biblioteca arricchita dai libri condivisi dagli abitanti.
La presenza e la gestione collettiva di servizi comuni garantisce un risparmio delle risorse di manutenzione e allo stesso tempo alimenta una serie di attività che rendono il complesso un centro culturale e un punto di riferimento per il quartiere.
Fonti e immagini: https://www.buildingsocialecology.org/projects/sargfabrik-vienna/