mercoledì 4 ottobre 2023

Giovanna De Sanctis Ricciardone ed Elisa Montessori

Lo strabismo eterno tra Arte e Architettura
Giovanna De Sanctis Ricciardone


Giovanna De Sanctis Ricciardone (Bussi sul Tirino (Pescara), 1938; Calvi dell’Umbria, 2023) è stata architetto, bravissima disegnatrice, donna politica, comunista, madre e artista. La sua identità polimorfa è intimamente legata alla sua storia personale. Già dalle sue origini si delinea una forte influenza di forze contrapposte, da un lato nipote del Barone Giovanni De Sanctis, dall’altro è cresciuta in un territorio adriatico con forte presenza di tradizioni gitane con i suoi colori e turbini. Dai racconti dell’artista emerge decisiva la figura del padre, fascista lui, comunista lei. Un padre che, guidato dai suoi ideali politici, è partito per la guerra in Africa, quando lei era stata concepita e ancor prima che nascesse. Catturato e deportato in India dagli Inglesi, rientra a far parte della vita di Giovanna quando nel 1946 gli Inglesi rilasciarono il gruppo di oltranzisti a cui faceva parte il padre. Un rapporto padre figlia spesso conflittuale soprattutto a causa dei differenti ideali politici.

1957 si iscrive alla facoltà di architettura di Roma, una delle poche donne ad iscriversi in un ambiente fortemente maschilista. Ѐ in questo periodo che si afferma la sua voglia di libertà e di quel femminismo radicale e contestatore già presenti dalla prima fanciullezza e rimasti indomiti anche ai tempi di Valle Giulia, specie durante le contestazioni del Roxy del 1963 su Muratori e "rifiutando violentemente il grande Adalberto Libera, io in prima fila, perché residuato inaccettabile del passato regime", a favore dell'ingresso di Bruno Zevi, Ludovico Quaroni e Luigi Piccinato, contribuendo così ad innestare tra quelle mura, che da lì a cinque anni avrebbero vissuto le pagine epiche del '68, una ventata di contemporaneità.
Lei una dei giovani studenti di architettura, unica donna, a far parte della classe di Composizione di Saul Greco, che insieme rivoluzionarono la facoltà fascista di architettura.

Laureata nel '64 fino al "69 milita nel PCI ed è consigliere comunale a Guidonia ma dopo occupazioni del '68, Cuba e i fatti di Praga lascia il Partito. "Tutto era già perso, ma noi non potevamo saperlo. Le nostre locomotive gonfie di vapore rabbioso continuavano a sferragliare a lungo, ma eravamo su un binario morto. Ideologie... utopie... mitologie...I tempi delle occupazioni e delle assemblee erano finiti. Cominciava quello delle sette...arroccate in vecchi appartamenti di Prati con un'aria da ultimo tango, producevano documenti deliranti asserragliati nei nostri fortini ci sentivamo liberi come catari sdegnosi"  Emerge da questo scritto l'anima marinettiana di una Giovanna futurista, ormai incontenibile all’interno di incasellature di ogni tipo, in primo luogo partitiche.

Giovanna sostiene di aver spesso tradito, iniziando proprio dai suoi genitori, così come d'altra parte ha poi sempre fatto anche con altri, persone e istituzioni. Altri tradimenti, così come lei li intende, si sono verificati allorquando è andata via dallo studio Archo, dopo dieci anni di permanenza, avendo maturato una sua posizione anche come donna, e in questa la maternità le è stata fondamentale.
Gli studi di architettura immancabilmente si strutturavano secondo una visione piramidale con un vertice e una base, nella quale dominava il maschilismo. Ed essendo Giovanna fondamentalmente un'anarchica femminista tutta a favore della parità di genere, lungo andare non poteva accettare tale cliché.
Nel 1974 ha tradito tutto e tutti: lo studio, i cari colleghi che conosceva da una vita, il marito, ed è migrata verso un altro spazio, ideato da Amedeo Fago, aperto ad architetti, artisti, teatranti, musicisti, cinemaniaci, femministe, poeti, artigiani, ecc. Inizia per lei quindi l'avventura del Politecnico di via Tiepolo 13, affermandosi nel professionismo artistico dopo aver dato l'addio all'Architettura e aver partecipato alla X Quadriennale di Roma.
 
Dal Politecnico in poi lo spazio per lei non è più stato di tipo cartesiano, fatto di spigoli e angoli retti, bensì aperto a un moto di onde, di superfici rigate, drappeggi, ali e fiamme e quando la scienza ha confermato la natura incerta dello spazio è stato per lei un momento di grande crescita interiore, una rivincita si può dire, ovvero il riconoscimento della validità delle sue idee artistiche. Invece per quanto riguarda l'architettura a Roma tale svolta, tranne pochissimi casi, non si è mai realmente verificata, eccezion fatta per la Chiesa di San Pio da Pietrelcina di suo marito Alessandro Anselmi, la Nuvola all'EUR di Massimiliano Fuksas, il Maxxi di Zaha Hadid, la chiesa a Tor Tre Teste di Richard Meier, la qual cosa sottolinea una poca sintonia con l'arte.

Tanto Paolo Portoghesi quanto Achille Bonito Oliva orienteranno le vicende artistiche di Giovanna. Da sempre l’artista doveva fare la scala santa, dal primo gradino in ginocchio, i critici, le mostre al culmine della quale troviamo il museo, Achille Bonito Oliva spezza queste ideologie lasciando entrare anche artisti emergenti nel panorama artistico.
Inizia a lavorare a delle opere che lei chiama “Transiti”, l’onda che ti sta trasportando in un'altra dimensione. Sparisce la figura, non le importa più della figura ma si interessa dell’onda che le permette di esprimere l’evolversi delle cose.  Anche la superficie non è lineare, liscia, ma dipinge su superfici tòrta ottenuta mediante delle rigate. Fa una mostra di nome “Torture”, dall’elemento torto. L’energia espressa anche attraverso i colori forti, accesi, quasi fosforescenti.
La passione è un sentimento prepotente in lei, che genera un’immaginazione visionaria, attiva e creativa da cui nascono i pro-getti, ossia ciò che si getta in avanti verso il futuro.

Esiste per Giovanna un archetipo fondamentale, chiamato da lei, Kosmos, ossia il senso primigenio che l’essere umano ha di essere schiacciato da forze cosmiche ma al tempo stesso anche la voglia di comunicare con loro. L’uomo fin dagli albori, alzando la testa al cielo, capisce che oltre agli uccelli, in cielo, ci sono luci che si muovono, e la prima grande che è il sole; nasce il primo grande mito di Icaro e il suo incessante, disperato tentativo di rompere la gravità, che lo rende preda della terra fino alla morte. È da questa primigenia pulsione e passione archetipa che nasce scultura e architettura. La lotta alla gravità, i Menhir, i Dolmen, sono primi atti di architettura. Per Giovanna, questo concetto sarà alla base della sua arte, la ricerca di un rito gravitazionale che si eleva un grave, una massa, un aereo, una scultura, un grattacielo; solleva la massa e la sottrae all’asse verticale che è garanzia di equilibrio baricentrico e gioca con lo squilibrio dell’oggetto, della materia e del peso.

Ormai è chiaro che Giovanna è molto più artista che architetto. Irrequieta e alla ricerca dell'opera d'arte totale, Giovanna rinasce dalle ceneri dell'avanguardia romana e nel 1992 fonda a Calvi dell'Umbria Progetto Arte, uno studio laboratorio in cui approfondisce il legame tra arte e spazio pubblico dedicando la propria sperimentazione plastica alla fluidificazione del marmo, ottenendo forme drappeggianti che, ancora una volta, reinterpretano il femminile nella sua componente più intima e contemplativa.
Dopo un periodo nel quale Giovanna tenta ancora un dialogo con l'architettura, segnatamente con i conflitti euclidei che traforano con grandi spilli sacrificali la materia e con le superfici rigate che controllano la deformazione del piano, assistiamo a un completo distacco dai suoi trascorsi architettonici. Quel conflitto che la caratterizza su piani profondi perché legati a episodi di vita vissuta, ora si esprime attraverso una forma d'arte che introduce due forze uguali e contrarie, massa e movimento, uomo e donna, che si fronteggiano costantemente in un moto danzante.
Tra queste due forze, che non sono in opposizione ma in dialogo, Giovanna De Sanctis Ricciardone innescò quell'azione in grado di trasformare lo statico monolito di partenza in una raffigurazione dinamica ad esso impressa tramite ondulazioni.

Non sarebbe corretto concludere che la massa rispecchia l'universo maschile e i movimento ad essa applicato quello femminile. Piuttosto è lo scorrere del tempo, l’attimo fuggente fissato da Giovanna, che persegue caparbiamente "quella vocazione alchemica dell'artista che è dare forma alla materia, strapparla al destino entropico, all'inerzia gravitazionale", in uno stato dell'esistenza fluida che determina il centro tematico di uno scavo scultoreo pronto a pietrificare nella roccia il vertiginoso movimento danzante dell'acqua o di un drappeggio lasciato al vento. Proprio come farebbe Medusa con chi la guarda negli occhi, la cui testa, recisa dagli uomini per scopi da uomini, è e deve ritornare in mano alle donne.
 
 
 

Elisa Montessori

 
L’artista nasce a Genova nel 1931, frequenta il liceo classico e si laurea in Lettere a Roma.
Sin da bambina la sua passione per il disegno è decisamente pronunciata. Non assume nessun posizione nel conflitto tra astrattisti e figurativi, ma l’attenzione della critica sui suoi primi lavori pittorici si fa sentire, specialmente dopo aver esposto alla Biennale di Venezia e alle Quadriennali.
Per diverso tempo il colore resta per lei un aspetto secondario. Ma negli anni Ottanta lo stesso colore rappresenterà un fattore molto vicino al passionale, sino ad esprimere per lei un abbandono decisamente di spicco. Studia la struttura di elementi naturali, come ad esempio un ramoscello oppure uno spuntone di roccia, che possono costituire elementi dominanti di un suo quadro.

E’ curioso il suo sentimento vissuto in rapporto alla poesia e alla musica, quasi intenda avviare un serio raffronto tra la parola, le note e una certa sua immagine fissata su tela. Quando un preciso dialogo si instaura tra queste due entità, Elisa avverte che due profonde analogie stanno per prendere corpo in alcune sue opere. Inoltre, la visione orientale delle cose,le fa intendere quanto sia importante il valore del “vuoto” accanto a quello del “pieno”.
Le opere di Elisa Montessori fanno parte di una esposizione permanente presso il Museo d’arte contemporanea, Roma, e presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna.

L’artista parlando della sua arte afferma:
“Sono una pittrice – da sempre – piccolissima con l’indice tracciavo segni, disegni, sui vetri appannati dal vapore in cucina (poi scomparivano) sulla sabbia al mare o sulla polvere.
Dopo, le prime matite e gessetti, sui giornali vecchi, i muri, i cartoni delle scatole, sulle foglie secche e anche con i sassolini, tante figure.
D’estate in campagna dopo la raccolta delle pannocchie di granturco, nell’aia un grande falò e io con i bastoncini dalla punta accesa, al buio grandi disegni, tracce di fuoco, di linee che diventavano cerchi, onde, animali,
“Ho sempre amato la segretezza delle cose che scompaiono: i libri che si chiudono, i rotoli che si arrotolano, le carte piegate, le tele non fissate, tutto ciò che si svela e si nasconde.
La pittura è totale.
La pittura è segreta.
La pittura non morirà mai.
Ho novantadue anni ora, ma ieri erano quarantamila anni fa nelle caverne preistoriche.
Una bella età.
Sono un piccolo anello di una lunga catena, catena di informazioni, connessioni, ricerca.
Il prodotto è importante ma la ricerca lo è di più.”
 
 

Domanda:
Nella realizzazione delle sue opere ha avuto un ruolo importante il dialogo tra arte, musica e poesia, che insieme creano una sinergia, concetto di cui si è parlato molto in classe come risultato della Mixitè.
Come possono Arte e Architettura ricreare questo rapporto e come può l’arte andare a potenziare o arricchire un progetto di architettura?

 
Studenti: Sofia Mariannella e Aureliano Mathias Pizzini

Nessun commento:

Posta un commento

La ricerca espressiva